I gialli di Petros Màrkaris: Charitos e i labirinti ateniesi

Il Montalbano di Atene, un epiteto semplice ma efficace per capire di cosa si parla quando ci si imbatte nelle indagini del commissario Kostas Charitos, eccentrico investigatore nato dalla penna dello scrittore greco Petros Màrkaris.

Lo stesso Màrkaris, ha spesso sottolineato il profondo legame intellettuale che lo lega al compianto Andrea Camilleri, “padre” di Salvo Montalbano, definendo le loro vite come due rette parallele che, però, di tanto in tanto possono anche incontrarsi. Entrambi nascono come autori teatrali e poi sceneggiatori, entrambi iniziano a scrivere relativamente tardi, dopo i cinquant’anni. Se i due scrittori sembrano avere missioni simili, i loro personaggi, pur somigliandosi da un punto di vista umano e caratteriale, nascono in due contesti completamente diversi. Montalbano, siciliano doc, tra una nuotata, uno spaghetto in riva al mare e qualche rottura di “cabbasisi”, indaga sugli omicidi che sconvolgono la tranquilla cittadina immaginaria di Vigata; Charitos, invece, trova il suo habitat naturale in una delle più controverse e rumorose metropoli del Mediterraneo, Atene. Non di rado, il commissario greco trascina il lettore tra le vie confusionarie e trafficate della capitale dove, sommersi dal suono dei clacson, si ha la sensazione di sentire realmente il profumo di cannella e souvlaki tipico delle strade elleniche, tanta è l’attenzione di Màrkaris verso la descrizione degli itinerari quotidiani di Charitos. Lo scrittore descrive ogni incrocio e ogni semaforo della città: dai ricchi quartieri di Kolonaki e del Licabetto, simbolo di quelli che si sono arricchiti con la crisi, fino al sobborgo operaio di Metaxourgeio o alla zona portuale del Pireo.

Come ogni investigatore che si rispetti, Kostas Charitos è accompagnato da una moltitudine di coprotagonisti, passioni e situazioni ricorrenti che, con la loro presenza costante, rafforzano la credibilità del personaggio. Adriana e Caterina, rispettivamente moglie e figlia di Charitos, appaiono fin dal primo momento e, per opinione dello stesso autore, rappresentano il centro della figura del protagonista: “All’improvviso, si è materializzata nel mio studio una famiglia formata da tre persone: padre, madre e figlio. Una tipica famiglia greca, di quelle che si possono incontrare in qualunque quartiere piccoloborghese di Atene”. Certo, quel figlio sarebbe poi diventato una figlia, nella versione definitiva del romanzo, ma è proprio in questo ricordo che prende forma un intero mondo, popolato da figure come Ghikas, capo della Polizia, Sotiropoulos, giornalista confidente e amico, dai poliziotti Demirtzakis e Vlasopouolos, insieme alla giovane Koula; ma anche da persone sui generis come Lambros Zisis, comunista della prima ora ed ex oppositore del regime dei colonnelli, nonché indispensabile collaboratore del commissario.

L’esperienza letteraria di Màrkaris, costruita perlopiù durante i suoi anni da traduttore, ha portato l’autore a comprendere che ogni investigatore di successo porta con sé delle peculiarità, o meglio, delle bizzarrie, che lo rendono diverso da tutti gli altri colleghi. Il primo aspetto curioso di Charitos è l’amore ostinato verso la sua automobile: una Fiat 131 Mirafiori che a malapena si mette in moto. A detta dello scrittore, si tratta del residuo di una breve esperienza lavorativa a Tripoli, negli anni in cui quelle vecchie Fiat popolavano tutte le strade della città. Un’altra caratteristica del commissario è la sua passione per la lettura. Niente di strano, se non fosse che Charitos legga soltanto dizionari, le cui definizioni sono spesso un pretesto per introdurre i propri stati d’animo, le preoccupazioni o alcuni aspetti rilevanti delle indagini. Probabilmente, il lavoro di Màrkaris come traduttore letterario deve aver influito molto sulla scelta di questo “costoso hobby” per il suo detective. A nulla servono i rimproveri di Adriana che, sentendosi trascurata, prova in tutti i modi a distogliere Kostas dalla lettura – rigorosamente con i piedi sul letto e senza togliere le scarpe – del Dimitrakos, del Liddle-Scott o del vocabolario medico Apostolidis. I litigi fra i due coniugi sono un leitmotiv della serie, così come lo è la loro costante riappacificazione, suggellata dai “ghemistà” (pomodori ripieni di riso) di Adriana, il piatto preferito dal burbero poliziotto.

Fin dal romanzo d’esordio, “Ultime della notte”, il commissariato si impone come rifugio nel quale iniziano e finiscono le lunghissime giornate di Charitos. Anche qui, abitudini e periodiche situazioni ricorrenti – a partire dalla colazione a base di caffè del distributore e croissant confezionati – fanno sì che i romanzi della serie prendano la piega dei classici di genere, rassicurando il lettore con la riproposizione di topoi e divertenti scenari, sempre uguali e per questo vincenti. Gli omicidi, le indagini e le confessioni non sono, però, narrazioni fini a loro stesse. Màrkaris si è espresso molto spesso sul significato dei propri romanzi, definendoli un “pretesto”. Tra le righe delle vicende di Charitos si respira un forte senso critico nei confronti della società greca, una realtà animata da un popolo che, nella storia recente, ha dovuto sopportare occupazioni, dittature, crisi economiche ma anche sociodemografiche. I riferimenti all’occupazione nazifascista, al regime dei colonnelli o a situazioni più attuali, come il dramma dei migranti sulla rotta balcanica e la crisi del 2008, sono costanti e non si presentano come semplici arricchimenti accessori alla trama, ma si impongono come base su cui costruire il racconto. Il denaro è un argomento centrale nel motivare i delitti per i quali il commissario è costretto a indagare: che si tratti di investitori stranieri, armatori corrotti o loschi oligarchi, la rozza genuinità del commissario viene sempre contrapposta al marcio endemico di una società che lo stesso autore vorrebbe cambiare, oscillando tra rassegnazione e ostinazione.

Ecco, in conclusione, “ostinazione” è forse la parola più adatta a descrivere il legame di fondo tra Montalbano e Charitos: un’ostinazione nello svolgere la propria missione, spesso in maniera non del tutto convenzionale, ma efficace e animata da un senso di giustizia che va oltre il complesso e lento sistema burocratico greco o italiano. Entrambi, non lavorano per la carriera ma per la verità.Un celebre verso del Faust, molto apprezzato dall’autore greco, recita: ‘L’uomo erra finché lotta’. “E io ho errato molto nella vita, ma non ho mai smesso di lottare. Sono un recidivo”. Parola di Petros Màrkaris.

di Domenico Giannone

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